BASTA CHIAMARCI EROI



 È da più di un mese che ormai sto lavorando nel reparto di semi intensiva covid, dove abbiamo pazienti che vengono dal pronto soccorso o pazienti che sono stati estubati e hanno bisogno ancora di essere monitorati con ossigeno e parametri vitali. Un mese in cui ho visto persone andarsene nel peggiore dei modi: da sole. Un mese in cui ho conosciuto colleghi volenterosi che si stanno impegnando al massimo per questa emergenza. E sappiate che non è così scontato. Molte persone hanno rinunciato a lavorare nei reparti di covid: dopotutto vieni scaraventato improvvisamente in questa realtà, quando magari fino al giorno prima lavoravi in ambulatorio e ti occupavi soprattutto di burocrazia. È come se un operaio che ha sempre lavorato nel settore delle scarpe venisse spostato in fonderia o una cassiera del supermercato diventasse commessa di intimo. Molte persone si spaventano. E quelli che dicono “è il vostro lavoro” dico si, è il nostro lavoro, che però ha bisogno di formazione, affiancamento e preparazione. A causa dell’emergenza questo non c’è stato. Siamo in prima linea, rischiando di ammalarci e rischiando di ammalare i nostri cari. Le nostre vite sono cambiate radicalmente. La sicurezza che il nostro lavoro ci portava è svanita perché entrati in un nuovo mondo che non conosciamo, con pazienti gravi che peggiorano improvvisamente. Noi cerchiamo di dare il massimo per portare un minimo di luce a queste persone perché questo virus ti isola da tutti. Pensate sia difficile rimanere a casa? È ancora più difficile essere costretti in un letto di ospedale, col personale coperto dove solo gli occhi sono visibili, isolati da tutto e da tutti, sentendo i parenti solo tramite videochiamate  (per i più giovani) mentre i piu' anziani aspettano con ansia di sentire il telefono squillare. La solitudine che questo virus ha portato, soprattutto a chi è ricoverato che non può ricevere visite per non rischiare di infettare nessuno, è enorme.
La cosa che più mi fa sorridere di questa storia è l'essere chiamati eroi. Questa parola può essere un'arma a doppio taglio, perchè gli eroi non sono pagati per quello che fanno. Invece il nostro è un LAVORO. C'è chi lo fa con più passione rispetto ad altri, ma rimane pur sempre un lavoro. E noi abbiamo dei diritti. Ora ci chiamano eroi e i politici approfittano di questa pandemia per fare promesse. Ma noi delle promesse non ce ne facciamo nulla. Noi vorremmo essere rispettati come categoria, vorremmo un riconoscimento per tutto quello che stiamo facendo e rischiando. Dopotutto abbiamo superato un test universitario per entrare al nostro corso di laurea a numero chiuso. Dopo la laurea, abbiamo dovuto affrontare un difficile esame di Stato per poterci iscrivere all'albo ed infine, per essere assunti in ospedale, un'altra prova divisa in vari esami. Insomma, siamo dei professionisti laureati e come tali è giusto riconoscere il nostro impegno. Cosa vuol dire essere un eroe? continuare a rischiare la vita solo per il bene degli altri. Ma come dicevo il nostro è un lavoro, abbiamo anche noi delle famiglie da mantenere e che rischiamo di infettare giornalmente. Quindi no, non chiamateci eroi, ma chiamateci col nome corretto: professionisti che stanno lottando contro un virus sconosciuto.
E' dura e la sofferenza che vediamo giornalmente a volte ci fa vacillare. Pensate che durante i miei anni di lavoro di sala operatoria, mi è capitato solo una volta di vedere una persona che non ce l'ha fatta. Invece oggi affronto quasi giornalmente questa situazione e vi assicuro (chi è come me in prima linea lo sa bene) che vedere tutti questi esseri umani che perdono la vita nonostante tutti gli interventi che facciamo ti segna. Ti segna dentro e sono eventi che non dimenticherò mai.
Da questa situazione ho anche imparato a godermi tutti i momenti con la mia famiglia, perchè siamo davvero fragili e basta poco per farci lasciare questo mondo. Sono anche grata ai colleghi che mi sono vicini (anche se lontani) e chiedono come va, che hanno un pensiero per noi che siamo a combattere questa battaglia che sembra infinita. E agli amici che grazie alla tecnologia, ci fanno sentire meno soli.
Spero con tutto il cuore che questa situazione finisca al più presto, che riusciremo a tornare ad una vita "normale", ad essere LIBERI, perchè purtroppo ora non lo siamo e questa prigionia inizia ad essere davvero pesante.


Un GRAZIE speciale alla moglie del paziente che abbiamo avuto ricoverato poco tempo fa che ha scritto questo bellissimo articolo su di noi. GRAZIE. E' bello sapere di riuscire ad infondere un minimo di serenità a chi è ricoverato.

Commenti

Post più popolari